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Nel tentativo di sviluppare il compito che mi è stato affidato oggi, che è quello di illustrare le mie impressioni sul libro di Flavio: “Theoria. In viaggio verso l’amore : appunti”, vorrei partire raccontando la “mia esperienza di Flavio” nata circa 2 anni e mezzo fa, in occasione delle riunioni che si tenevano presso l’Associazione Arcano. Quelle discussioni, spesso tumultuose e animate, mi misero di fronte ad una persona molto diretta, sanguigna, aspra ad un primo impatto, spesso pungente e niente affatto formale. Una persona “senza peli sulla lingua”, come si direbbe usando un registro linguistico gergale, registro che Flavio utilizza spesso all’interno del libro ottenendo o effetti esilaranti come per es. nel racconto dal titolo “Amaro caverna”, oppure creando bruschi e “fastidiosi” rovesciamenti di consolidate ipocrisie comuni come nel capitolo VI “Alcolismo”.E proprio in relazione all’“essere senza peli sulla lingua” è ancora vivo dentro di me quando, Flavio bollò alcuni miei atteggiamenti definendoli in sintesi “chiesastrici”, per prendere in prestito un neologismo coniato da Andrea Camilleri, il celebre autore dei romanzi sul commissario Montalbano. ‘E partita così con Flavio, con quella pizzicata che mi ha colpito come fosse una nota stonata. Ho cercato di non rispondere a Flavio con vendetta ed orgoglio e oggi so che quella pizzicata mi ha aiutato a crescere. Di questo gliene sono faticosamente grato. Dopo questa personale digressione arriviamo al libro. Quando Flavio mi mostrò il suo libro e mi chiese se fossi disposto a presentarlo, leggendo il titolo “Theoria. In viaggio verso l’amore: appunti”, pensai di trovarmi di fronte all’ennesima teoria sull’amore, ad un libro sui massimi sistemi dell’universo, insomma, “mo’ ve lo spiego io come funziona il mondo e che cos’è l’amore”. Chiesi così a Flavio, dopo averlo ringraziato per la stima accordatami, del tempo, per poter riflettere sulla sua proposta. L’esito della mia risposta potete immaginarla e tale decisione l’ho presaessenzialmente per due motivi . Il primo riguarda le sensazioni ricevute dalla lettura del libro, che hanno provocato in me una sorta di contagio, di stimolo. Tale stimolo lo ricevo spesso da Flavio ed è rappresentato dalla sua capacità di essere diretto e di sapersi mettere a nudo. Afferma l’A.: “Poi ricordo la mia solitudine, quando uscivo di casa -felice- con 200/300/500 lire in tasca e andavo da solo a giocare alle giostre, a flipper. … Ricordo quando per accaparrarmi delle amicizie pagavo 10 lire i tappi delle bottiglie – le lattine.” (Theoria p. 66). E ancora: “Il vuoto è dentro di me, una mancanza, un’insoddisfazione, un buco interno che può essere solo riempito da me stesso, con il
mio amore” (Theoria p. 63).Ciò è frutto di un lavoro duro di ricerca su se stessi che l’A. compie da molti anni, il suo viaggio. L’urgenza viscerale e l’ardore iconoclasta con cui l’A. denuncia i pilastri della nostra società attuale (il capitalismo, le religioni, la scienza) non nasce con finalità distruttive, cosciente che la domanda che urge non è se siamo buoni o cattivi ma che cosa possiamo fare per migliorare le scissioni presenti in ciascuno di noi e per tentare di vivere più amorevolmente nel qui e adesso. E allora l’A. ci mostra le tessere del suo mosaico, gli “appunti” del suo “viaggio”. E per far questo ci vuole coraggio. Il secondo motivo per cui ho scelto di presentate il libro è di natura personale e riguarda una mia difficoltà di parlare in pubblico legata ad un mio bisogno narcisistico. Nell’ottica che credo mi accomuni a Flavio c’è la convinzione che la percezione delle proprie difficoltà e paure segnano un potenziale terreno di crescita e che spetta al singolo scoprirle e modulare il ritmo per affrontarle. “Theoria” è un libro che parte dal rovescio. Dal rovescio nel senso che il primo capitolo “Se l’uomo fosse anche donna” , è un ringraziamento alla propria madre “grazie di avermi fatto nascere e vivere questa vita che è mia” ma, segue l’A., “questa frase l’ho detta in barba ai calci, gli schiaffi, ai tradimenti, all’amore cercato e non avuto, alla falsità che coprivano i suoi problemi, ai pasti mai avuti, alle spese mai fatte, agli odi ricevuti, alla bicicletta desiderata, alle ingiustizie subite che ancora gridano vendetta dentro di me.” (Theoria p.10).
Per chi ha scelto, come l’A., di non fermarsi alla comoda ipocrisia della “sacralità e intangibilità della figura materna” e ha deciso di togliersi questa maschera per entrare in contatto con l’odio che si cela sotto, il riuscire a ringraziare con sincerità la propria madre, per il dono della vita, rappresenta un’importante tappa nel viaggio verso l’amore, una delle più dure e faticose. E la ricerca dell’amorevolezza come“decisione” rappresenta il filo conduttore e unificante del libro, accanto all’attraversamento della solitudine, dell’odio, della violenza, del canto delle sirene dell’innamoramento, accanto alla scelta consapevole di non voler vivere assecondando tutto ciò che come dice l’A. “grida vendetta dentro di noi”. Il libro è composto di 35 capitoli in cui l’A. mescola brani narrativi come “Una giornata normale”, “Dio”, “Amaro caverna” a momenti di analisi del contesto sociale e delle sue colonne portanti: il capitalismo, la religione, la scienza. E ancora il libro mescola ricordi drammatici (Lettera a Roberto), a episodi grotteschi (Joy) e a invenzioni umoristiche (Pubblicità: Smich, Smach, Humor 1). La capacità di connettere gli aspetti molteplici dell’esistenza è ben rappresentata dall’A. nella chiusura auto-ironica e paradossale dell’XI capitolo “Naturalezza” incentrato sull’analisi della progressiva e inarrestabile distruzione ambientale: “Secondo me la gente s’è talmente abituata a mangiare le verdure con i pesticidi, che se glieli togli s’incazza e ti dice che non sa di niente. Spesso quando compro delle verdure, mi informo che pesticidi vengono usati perché ce ne sono alcuni che non digerisco, personalmente preferisco quelli della Bayer o della Montesanto, che sanno un po’ di agretto, speciali sugli spinaci.” (Theoria p. 48). Molte sono i richiami e i riferimenti teorici presenti all’interno del libro, riferimenti che Flavio filtra e modula sempre attraverso la sperimentazione pratica personale alla ricerca costante non di una verità assoluta o di un mito in cui identificarsi ma di una identità che si costruisce cercando il proprio ritmo. Tali riferimenti sono per es. rintracciabili nella vegetoterapia di Wilhelm Reich e di Federico Navarro presente nel VII capitolo “Somatizzazione e libertà” con i richiami all’esistenza della corazza muscolare e alla sua funzione, oppure i riferimenti alla funzione del dolore come atto creativo (dolore da non confondere con la sofferenza vittimistica o espiativa) e ancora la funzione della morte-rinascita concetti che l’A. mutua dagli insegnamenti di Antonio Mazzetti, Laura Rita e del Buddismo. Dal punto di vista strettamente teorico risulta stimolante e originale la rappresentazione del capitalismo nei capitoli II, III e IV che afferma l’A.: è simile a “bestia [che] trangugia tutto quello che trova utile ai suoi fini, fino all’ultimo pezzetto in un appetito insaziabile, voracità senza limiti, gli eventuali ostacoli vengono anch’essi trangugiati in un paradosso machiavellico, che per divorare tutto deve veramente divorare tutto. Nello stomaco di un grande squalo puoi trovare tutto, nella grande pancia capitalistica trovi anche lo squalo.” (Theoria p. 11). Capitalismo dunque come una bocca elefantiaca sospesa tra una aspettativa spasmodica e una voracità insaziabile, sistema che si fonda sulla consumazione totale di tutto ciò che incontra, afferma l’A.: “per questo dovremo succhiarci e spararci tutto il petrolio di questo mondo prima che ci venga permesso di utilizzare dell’energia diversa.” (Theoria p. 15). Un’atmosfera oppressiva e angosciante grava sul capitolo V “Una giornata normale”, racconto incentrato sulla giornata di lavoro di Giorgio, un alcolista. L’A. riesce, attraverso il racconto, a calarsi con profondità negli aspetti più squallidi del vissuto di Giorgio passando attraverso le piccole menzogne che racconta a se stesso, le sue rabbie e ossessioni fino ai comportamenti omertosi e pietistici di chi lo circonda in un crescendo drammatico che trova nell’idea della morte l’unica soluzione. Ma ad un lettore attento non può sfuggire che “Una giornata normale” non è solo il racconto di un etilista ma un crudo attacco al mondo delle ipocrisie quotidiane, delle negazioni e dei sotterfugi continui, dei gesti non fatti, dei sepolcri imbiancati, ma tale denuncia, e questo è nello stile dell’A., non è pronunciata da un piedistallo di superiorità, piuttosto, conclude l’A., “io non sono migliore di voi” (Theoria p. 39). Costante è l’appello di Flavio a non rimanere abbarbicati ai comodi scogli e ai miraggi offertici dalle religioni, alle pseudo-sicurezze delle scienze ufficiali (spesso arroganti nella loro pretesa di superiorità) invitando piuttosto ognuno a scegliere di impegnarsi nella ricerca della propria strada facendo leva sulla tenacia, sulla pazienza e sulla costruzione creativa della propria forza vitale. Molto toccante è il racconto in forma di dialogo “Dio”, che, come ci avverte l’A. nell’introduzione, “è l’ultima (?) possibilità donata dal Creatore a Giulia ormai morta di raggiungere al di là della vita il traguardo dell’amore” (Theoria p. 3). Giulia sceglie, non senza fatica, la strada dell’amore e l’A. sembra suggerirci che vale comunque la pena, sembra suggerirci che anche se solo un briciolo di amore galleggia in un animo pieno di odio si può sempre decidere di donarlo a qualcuno in un profondo atto di compassione verso se stessi, nonostante tutto, nonostante il male che ci afferra e ci scuote.Vi saluto e ringrazio proponendovi appunto la lettura di tale racconto, racconto che si sviluppa in forma di dialogo tra un Dio tutto umano e una donna.
dott. A.Gambardella
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